social media e guerra. il marketing durante una guerra

Social media e guerra in Ucraina: come non risultare inappropriati

Social media e guerra in Ucraina. Come usare commercialmente i media senza rischiare di venire percepiti in modo inopportuno.

 

Social media e guerra in Ucraina. Come continuare ad usare commercialmente i media digitali senza rischiare di commettere errori e venire percepiti in modo inopportuno

 

Social media e guerra

Alcuni clienti ci hanno chiesto cosa sia appropriato pubblicare sui social media così come inviare tramite e-mail, facendo marketing alla luce di ciò che sta accadendo in Ucraina.

Non è così semplice né scontato dare risposte in questo senso. Abbiamo comunque provato a raccogliere un elenco di idee che potrebbero essere d’aiuto ad a orientarsi su come gestire il momento in quanto evento inserito in una crisi, cioè nell’ottica di un’attività di Problem Solving in Crisis Management.

Questa settimana, per esempio, abbiamo sospeso alcun post sui social media e alcune campagne e-mail, sia per noi che per i clienti. Semplicemente non ci è parso appropriato né importante pubblicare alcuni contenuti in questo momento. Abbiamo anche fatto attenzione a non inciampare in scelte pacchiane. Per esempio, affermare di boicottare un prodotto perché proveniente dalla Russia – come fatto da alcuni – serve a poco se non a farsi pubblicità venendo però percepiti come opportunisti.

Se il real time marketing è d’aiuto in qualche modo, ad esempio promuovendo una raccolta fondi, ben venga. Quando invece è solo ricerca di visibilità, allora non funziona perché non porta un reale vantaggio al brand.

Prendersi una pausa va bene, meno essere sordi

È importante non risultare stonati o insensibili nel fare marketing mentre il conflitto continua, soprattutto se la propria organizzazione ha uffici in Ucraina, in Russia o anche solo nell’Europa orientale.
Dobbiamo orientarci, ri-adattarci e mettere le persone al primo posto, così come abbiamo fatto durante il Covid. Alcune delle notizie che vorremmo condividere su noi stessi e le nostre aziende possono quindi aspettare.

Essere più sensibili, disponibili ed empatici può essere il più semplice dei fil rouge da seguire per i prossimi mesi, oltre a:

  1. Fare affari come se il mondo stesse guardando. Ovvero ricordare che milioni di persone in tutto il mondo potranno visualizzare quei contenuti indipendentemente dalle dimensioni effettive della nostra azienda. Tutto può diventare virale, va sempre tenuto presente che essere di cattivo esempio, anche involontariamente, può essere oltremodo controproducente.
  2. Gestire la comunicazione con empatia. Ricordare anche che ognuno ha le proprie lotte, sfide e gioie. I nostri lettori hanno famiglie, colleghi e dipendenti che potrebbero essere colpiti. Vedeteli prima come persone, poi come clienti. Prima provate empatia, poi siate d’aiuto.
  3. Seguire la classica regola 80/20 del marketing. L’80% dei propri contenuti dovrebbe essere utile, informativo ed educativo. Il 20% dovrebbe interagire con il proprio pubblico sul brand, su cosa rappresenti, perché esiste, come può essere d’aiuto e cosa si fa esattamente. Vanno fatti ruotare i messaggi e messi in pausa alcuni dei post per allinearli con le notizie del real-time.
  4. Continuare ad usare i canali social. Cioè condividere risorse utili e storie stimolanti: va detto ai follower che ci si sta dedicando anche a ciò che sta succedendo nel mondo.
  5. Non impostare per poi dimenticare il proprio marketing. Il problema con gli strumenti che consentono di pianificare in anticipo i post del blog, i post sui social media e l’email marketing (i cosiddetti pianificatori editoriali) è che quando si verifica una tragedia o un evento inaspettato, il contenuto creato in un momento diverso rischia di essere inappropriato. Per esempio, se avete post previsti per il periodo di carnevale, lasciarli passare li/vi renderebbe inopportuni. È una scelta che i comunicatori devono saper fare, adeguando i toni in base a quello che succede, esattamente come accade in televisione. Assicuratevi quindi che non vengano pubblicati articoli non necessari o che stonino alla luce di ciò che sta accadendo.

 

social media e guerra

 

Non c’è ovviamente una regola assoluta per tutto questo: fate ciò che sembra giusto a voi e alla vostra organizzazione, ma se riuscite a gestire le tempistiche di pubblicazione e se un post vi sembra smaccatamente autocelebrativo o non è super tempestivo, piuttosto aspettate. Nel dubbio chiedete a qualcuno, per esempio al vostro consulente di marketing e comunicazione.

Se poi la tua azienda non ha ancora fatto una donazione per aiutare l’Ucraina, dovreste pensarci.
Potreste anche creare un post sui social media al riguardo, non per vantarti di averlo fatto, ma perché è importante far sapere ai vostri follower che restituire è importante per voi.

Vorremmo anche aggiungere di aver visto persone pubbliche ed aziende muoversi assai goffamente nel tentativo di apparire empatiche e proattive. Molto spesso dimostrando che dietro i loro sforzi di comunicazione non c’è un’analisi, mentre ogni brand deve farsi delle domande serie su quali siano i valori e i desideri del proprio target. Talvolta occorrerebbe domandarsi se davvero si abbia costruito una community prima di esporsi su un particolare tema.

 

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Altrimenti è solo greenwashing, pinkwashing, rainbowwashing o, con un neologismo che potremmo coniare all’occorrenza, peacewashing. Tant’è che spesso si tende a supportare cause senza però avere atteggiamenti fattuali coerenti, quindi c’è sicuramente bisogno della professionalità di chi sa come fare un’analisi del mood e del sentiment delle persone, per capire qual è il messaggio da dare.

Ma soprattutto bisogna capire prima su quali temi l’azienda può e deve esporsi. Farlo su tutto è sbagliato, perché ormai i brand sono come le persone e quindi devono parlare di ciò che conoscono e di ciò in cui credono. Altrimenti suonano fasulli e la comunicazione diventa controproducente

Alla luce di ciò, stay tuned, restate sintonizzati sui modi in cui potete interagire direttamente per aiutare l’Ucraina.
Voi, quali altri suggerimenti aggiungereste? Quali indicazioni fornite alle vostre aziende? Fatecelo sapere!