Quale futuro per la blockchain?
Lo “stato dell’arte” della blockchain pone sicuramente alcune domande sulla sua architettura e, quindi, anche sul futuro considerando una possibile implementazione su “scala di massa”. Considerando la più famosa blockchain, quella del Bitcoin, l’attuale architettura basata sulla cosiddetta “Proof of Work” (il “puzzle crittografico” necessario a garantire la sicurezza ed approvazione di un blocco di transazioni) è sicuramente un problema, considerando il tempo necessario per elaborare un blocco (e le transazioni incluse); questo processo, da un lato, garantisce la sicurezza massima della blockchain, perché garantisce la consistenza della storia della blockchain, ma introduce alcune criticità rilevanti, se considerata da una prospettiva di “grande scala”:
a) forte competizione tra i miners per “chiudere” un blocco: il “block reward” è necessario, perché i costi energetici sono rilevanti e i margini non sono così grandi; per molti minatori il “break even” è, oggi, molto vicino;
b) crescente bisogno di potenza computazionale per elaborare i blocchi in modo efficiente.
Questo aspetto implica che, alla fine, oggigiorno esistano due o tre pool di miners nel mondo in grado di sostenere questo sforzo in modo finanziariamente sostenibile: è realistico pensare che avere una blockchain centralizzata su un miners significhi “blockchain centralizzata” e averne, viceversa, due o tre gruppi significa che siamo in una “blockchain pubblica totale”? Ovviamente no.
Considerando la blockchain basata su Bitcoin, siamo molto vicini a una “blockchain centralizzata” e il PoW è sicuramente un punto debole; in più, bisogna considerare che nell’ecosistema Bitcoin, il “tasso di transazioni” al secondo è molto basso (ad esempio, un blocco si può chiudere anche in 10 minuti) ovvero impossibile per applicazioni su larga scala. Ancora una volta, paradossalmente tale vincolo è garanzia della sicurezza del sistema, in quanto il consenso distribuito implica che ogni nodo deve conoscere le transazioni, il che rende impossibile impadronirsi del sistema se non si posseggono il 51% dei nodi.
D’altra parte, solo una blockchain centralizzata introduce il controllo ma, in questo modo, il rischio è di tornare a un “modello di fiducia”, dove una o più entità certificano le transazioni in rete con i relativi vincoli e costi.